Metafora (10) – “Mi porti via con te?”

Fede stava come al solito aspettando.
Era mezzanotte e tre quarti. Lo lesse sull’orologio appeso al muro, davanti a sè. A quell’ora era solo nel bar. Si rese conto di questo guardandosi attorno mentre sorseggiava il terzo gin- tonic.
Portava la solita giacca di velluto a coste con i soliti jeans e le solite scarpe da ginnastica, e teneva la solita pall mall accesa tra l’indice e il medio della mano destra. 

Fede era anche adesso in uno di quei suoi momenti in cui si sentiva più esposto alle emozioni, in cui gli era facile immaginare di essere il protagonista di un film o di un libro che aveva visto o letto, meglio se lo detestava. E si vedeva a volte destinato a camminare lungo un filo immaginario, sospeso lungo scintillanti boulevard illuminati dalle luci al neon delle vetrine, tra una moltitudine di gente che si muoveva nella direzione opposta alla sua. La colonna sonora di queste sue visioni era sempre la stessa, come se lo inseguisse ovunque: Light My Fire dei Doors.

All’improvviso si ricordò di quel giorno, di metà settembre, mentre tornava dall’università, quando lo vide per la prima volta all’uscita della metropolitana. Gli apparve all’improvviso sul marciapiede di fronte, di una bellezza ineguagliabile, che aspettava di attraversare.
Fu più forte di lui: estrasse dallo zaino la macchina digitale, e scattò alcune foto in sequenza. Il tipo era esile e spettinato e, a giudicare dai vecchi jeans e dalla semplice maglietta bianca che indossava, era uno che come lui apparentemente se ne infischiava delle mode.
Tuttavia fu il viso che lo colpì più di ogni altra cosa. Perfino da quella distanza, e attraverso il mirino della digitale: era bello da lasciare senza fiato. Ebbe un brivido che avvertì anche nelle palle; come una sottile, impercettibile, piacevole scossa elettrica. Lo stesso identico brivido che sentirà alle palle tutte le volte che ricorderà quel giorno e quello che successe dopo.

Posso anche morire adesso si dirà la sera stessa. E mentre lo sussurrava aveva la sensazione che ogni parte del suo essere si stesse richiudendo su se stesso, e si raggomitolava sul letto come un piccolo animale per rendere più facile quel passaggio. Ma il desiderio non si avverava. Per quanto lui si sforzasse di fermarli, i respiri non cessavano. Andavano e venivano indipendentemente dalla sua volontà, togliendogli anche questa estrema consapevole scelta di fuga.
La luce al neon del bancone del bar filtrava ognitanto attraverso le bottiglie, influenzando ora di giallo ora di blu ora di rosso le espressioni del viso. Si accorse di colpo che stava trattenendo il fiato: stava cercando di farlo anche adesso. Ma è troppo tardi, si disse. Ormai lo era.

Si voltò lentamente verso il bancone, e rimase un attimo ancora lì seduto, a fissare gli occhi del barista che si specchiavano nei suoi.  Non gli restava altro da fare, da fare, da fare, da fare, da fare… Se lo ripetè all’infinito.
Si alzò di scatto, e disse ad alta voce: “Mi porti via con te?”

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