Il laghetto dell’acero rosso

All’improvviso avvertii una specie di ondata di malinconia, qualcosa di indietro nel tempo. Succedeva spesso, soprattutto nei momenti nei quali sentivo essere più fragile. Qualcosa di simile a un languore che dal fondo dello stomaco saliva su fino in gola, e poi si strozzava lì quasi a soffocare il respiro. Quasi sempre doveva piovere e, infatti, il cielo scuro oltre le siepi segnava l’avvicinarsi di un temporale. Quale era il senso di questo mio stare male? In fondo sapevo che tutto era segnato, che la strada da battere non poteva essere un’altra. Eppure mi stavo distruggendo dentro con una lentezza pari solo a quella di una lumaca che cerca di raggiungere un traguardo irraggiungibile.
Decisi allora di non pensarci oltre. Salii i pochi scalini che mi separavano ancora dall’uscita, e presi lo stradello interrato che portava al laghetto dell’acero rosso. Forse là avrei ripreso a leggere, e mi sarei come sempre stordito tra le righe e i pensieri degli altri sperando ancora una volta di scacciare i miei. E forse sarei riuscito anche a scrivere. Infilai la mano nella tracolla e palpai tra gli accessori più inutili che conteneva: lui c’era, il mio taccuino, e mi sentii per un attimo rincuorato.

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