In dark, che novità! [Cabina e Pellegrino]

Mi sta portando nella cabina della darkroom. Tutto quel suo parlare per arrivare anche lui là.
“Non sono tipo da dark” gli faccio, “merito di più!”.
Il tipo mi guarda, lo sguardo di traverso, il bicchiere di vodka alla menta con lime nella destra, la sigaretta accesa nella sinistra. Poi mi fa: “Come hai detto che ti chiami?”.
“Non te l’ho detto! Comunque il mio nome è Pellegrino”. E lo lascio là a guardarmi allontanare verso l’uscita.

Nel Vangelo secondo Matteo [Legione e Seminterrato]

Legione, secondo il Vangelo, è il nome di un demone che ha come obiettivo quello di possedere l’anima di una persona.
Ecco nel seminterrato di quella discoteca in culo ai lupi, mi sento così nel domare alle quattro del mattino quel tipo nel cui sguardo c’è una strana luce spillata, che mi scongiura di possederlo e m’implora di amarlo; di liberare la sua libidine frustrata e condurlo a bruciare tra le fiamme dell’inferno. Così è, “e da tutte le creature sia resa servitù, onore e gloria in tutti i secoli dei secoli, amen.”

Parigi di luglio [Ramen e Abelmosco]

Ci arrivo con il fiatone. Guardo lo swatch: un quarto dopo mezzanotte. Il ramen sushi mi arriva in gola, con il sapore acido della salsa di soia.
Deglutisco, mentre mi appoggio a questa porta in noce di un monsieur che non so bene chi cazzo sia, che sapeva di abelmosco muschiato, conosciuto qualche ora prima in un ristorante giapponese in Rue de la Ferronnerie, durante un diluvio estivo, in cerca di…
Ma chissenefrega, in fondo è questo quello che voglio. E suono il campanello.

I suoi occhioni verdi [Anice e Pegaso]

Era tenero vederlo sgranocchiare i biscotti all’anice. E i suoi occhioni verdi mi perforavano ogni volta l’anima. E a me piaceva osservarlo così distrattamente, tra un biscotto e l’altro, e fantasticavo specchiandomi nel calice di vino rosso. Un giorno lui ed io avremmo cavalcato il nostro Pegaso, e saremmo volati liberi, là dove avremmo potuto coltivare il nostro amore in tutto il suo splendore.
Ma la vita si sa, con una mano dà e con l’altra toglie. E così è stato!

Quella volta là, accovacciato sul divano [Sinossi e Fattucchiera]

Lui scorreva ad alta voce la sinossi del suo ultimo romanzo. Io, accovacciato sul divano, lo ascoltavo illuminato appena dalla luce rossastra della lampada ad arco alle sue spalle. Lo guardavo con gli occhi di una fattucchiera cercando di presagire, da quelle parole che uscivano morbide dalle sue labbra, il giusto futuro per entrambi.
Amanti allo sbaraglio, eravamo, nel raggiro di un format ormai agli sgoccioli di cui non è possibile più fare a meno.

Da allora amo solo il digitale [Spiazzo e Analogico]

Diedi una occhiata all’orologio sul cruscotto. Davanti a noi, lo spiazzo della fattoria dove ci incontravamo. Lui però quella sera non venne, e neppure quella dopo. Più avanti ci ritornai spesso il quel posto, e in cuor mio speravo ogni volta di vedere la sua Peugeot 208 sbucare dall’incrocio, e farmi le luci. Ma non lo vidi più.
«Il nostro amore» disse la prima volta indicando il cruscotto, «è come questo orologio analogico: continuo». Ma vaffanculo, va!

Il decimo giorno [Petalo e Emoglobina]

Lui aveva un petalo di colore rosso tatuato sull’inguine. La mia “dolce emoglobina”, diceva lui scherzando. E io, quel decimo giorno di chemio, gli passavo l’indice, mentre con la sinistra gli stringevo la mano destra, cercando di ravvivare quel petalo che con il passare del tempo impallidiva. Lui mi sorrideva, lui a me, con quegli occhi che brillavano del nostro amore. Ma la diagnosi era atroce: leucemia mieloide acuta.
Quel petalo di colore rosso, ora è tatuato nel mio cuore.

Il mio tulipano nero [Stetoscopio e Tulipano]

Lui era bianco quella sera, in quel letto d’ospedale, più del lenzuolo che lo copriva appena. Il medico lasciò penzolare al collo lo stetoscopio, e si girò lentamente a fissarmi con quello sguardo che difficilmente potrò dimenticare.
Lui, il mio tulipano nero, mi stava per lasciare. Per sempre. In quel cesso di letto d’ospedale. Con quel medico, donna, che cercava il mio sguardo. Perso oltre la finestra. Oltre la siepe. Oltre il mio essere uomo.

Sono orgoglioso di essere gay [Abdicare e Meteorite]

Sono orgoglioso di essere gay. Capisco che è un’affermazione omofoba. Come dire sono orgoglioso di essere etero. Ma se al Papa, adesso, è consentito abdicare e a una meteorite piombarci addosso come fosse grandine dal cielo, beh, quando ci vuole ci vuole: Sono orgoglioso di essere gay.
Qualche politico che si fa Papa o un’altra meteorite incazzata che piomba su qualche omofobo stronzo, quello no, mai? Chissà!
Intanto io sono orgoglioso di essere gay, ma non so chi cazzo votare domenica. Chissà se questo lunedì porta consiglio?

L’alba del giorno dopo [Tarlo e Bancone]

Il tarlo dell’alba gli era proprio insopportabile. Le premonizioni non facevano per lui, anche se la sua esistenza era tutta una inconsapevole premonizione. Eppure in quel preciso istante, nell’attimo in cui si vedeva riflesso nello specchio del bancone del bar, lui si sentì premorto, come i cibi precotti appena estratti dal forno microonde. E finalmente capì. Capì quanto fosse inutile perdersi nell’inutilità dell’altro.