Ci salutiamo
Ci salutiamo,
ai margini
di un pomeriggio
immaginario.
Non v’è pace alcuna,
naufraghi,
tra quartieri
sventrati.
E fradici
di parole sussurrate,
a occhi chiusi,
sfumiamo.
Emozioni lunghe quanto una istantanea di vita, una sorta di selfie.
Ci salutiamo,
ai margini
di un pomeriggio
immaginario.
Non v’è pace alcuna,
naufraghi,
tra quartieri
sventrati.
E fradici
di parole sussurrate,
a occhi chiusi,
sfumiamo.
Ho aperto
la tua anima
e vi ho sepolto
le mie parole.
Seccate
dalle lingue
di tramontana.
Dammi una ragione,
una sola,
una qualsiasi,
perché io comprenda
i rami spezzati.
Una sola ragione,
anche in trasparenza,
tra le ipotesi.
Vorrei ali per l’infinito,
e raggiungerti
là dove il sole
non tramonta mai.
Mi hanno ucciso
troppe volte
queste notti
che non sanno
più di te.
Allora meglio morire.
Lì dove la polvere
ha il sapore antico
di noi.
Ho creduto
di vivere
con uomini veri,
uomini
che dicono sono nessuno.
Non farò più a caso
a come
mi chiamerai.
O se mi chiamerai.
Cade,
uno ad uno,
ogni mio desiderio
di te.
I passi lenti
avanzano stanchi,
tra terra
e resti di noi.
A volte,
vorrei che il tempo
si fermasse,
e mi lasciasse scendere.
E fermo,
all’incrocio delle nostre vite,
fare l’autostop
e aspettare
che tu passassi.
Milano,
tu mi hai regalato
la mia identità,
tu che hai sempre
saputo come prendermi.
Milano,
nuda o vestita,
negli angoli della metro,
scappando da chi
mi malediva
succhiandomi l’anima.
Milano,
tu sai che non avevo
bisogno di pregarti,
ma come ogni puttana
capivi quando darmelo
il tuo desiderio infame,
iniquo
come le nostre voglie.
Milano,
io e te, un buco da un amico,
un letto rubato,
nella stanza spoglia,
vederci nudi in piedi,
perché davvero
ridevi nella compassione
che avevi per noi,
quei tempi là.
Milano,
fuggito quasi proibito
oggi ritornare,
tu sola puoi salvarmi
sottoterra,
riacchiappami l’anima.
Ho perduto gli anni migliori
della mia vita
rincorrendo fantasmi,
colpevole solo
di desiderare la morte
nel mio delirio.
Tornavo ogni volta
là dove il richiamo
della tua ombra
mi uccideva.
E morivo,
per rinascere
nella tua inconsistenza.
Tutto è inutile,
immenso e profondo mare.
Forse hai pianto per me,
per noi.
Forse la tua e la mia
inquietudine,
lavando i nostri corpi,
così ci ha portati via.
Respiro dopo respiro,
quel che restava
nel nostro straziarci,
impotente.
Lontano
si dissolvono
parole taciute,
e stridono i sussulti
dell’anima.
Noi,
persi tra quel poco
ch’è rimasto di noi.
E nella piccola ombra,
di questo sole
metropolitano,
ci sciogliamo in mescolanza
tra i rumori tremuli
di una città,
altrettanto
in agonia.
Una notte
mi dormivi accanto,
su una sponda di fiume.
Sentivo
lo schizzarmi addosso
del tuo respiro,
mi lavavi l’anima.
Il tempo di un rumore,
sordo,
lontano,
e già si era persa l’eco,
di noi.