Il mistero della boschina

[A mio nonno Angelo]

“Muore lento, quest’uomo, muore lento come se volesse gustarsela, sgranarla sotto le dita l’ultima vita che ha.” (da Oceano mare, A. Baricco)

A mio nonno Angelo, il padre di mio padre, piaceva stare davanti al fiume, in quel tratto di Po. Sentirlo scorrere nella sua lentezza estiva e annusare i profumi della boschina, quella nicchia di terra riparata del fiume e avvolta nel mistero.
Il fatto era che ormai mio nonno non ci vedeva un granché. Forse per l’età. Forse perché non aveva mai voluto farsi operare di cataratta che, prima all’occhio sinistro poi a quello destro, progressivamente gli aveva opacizzato quasi completamente il cristallino.
«Questa è la riva del fiume, il grande fiume» mi disse un pomeriggio. «È il luogo che ci fa esistere.» Read More

E si trovò nuovamente solo

A lui piaceva stare là così, a pensare alla morte. Lo faceva stare bene. Se lo diceva ogni volta, anche se la cosa gli appariva alquanto stravagante. Era come guardarsi allo specchio e osservarsi attentamente, con quella forma maniacale che gli apparteneva sin da bambino. Sapeva di essere diverso dagli altri suoi coetanei. Però non gli importava. Anzi più se lo diceva, di non assomigliare loro affatto, e più si convinceva che il sentirsi diverso dentro era una sensazione lontana, che non poteva allora comprendere appieno ma sentiva crescergli dentro con il passare degli anni. Read More

Eppure tutt’a un tratto si era chiesto perché era ritornato

Quando Aldo chiuse la porta alle spalle, Nino era lì disteso sul letto ad aspettarlo. Sembrava stesse così, nudo, appoggiato a quei cuscini da troppo tempo. Gli piaceva da morire quel corpo. Dio sa quanto lo eccitava. Del resto Aldo lo aveva sempre saputo e non aveva mai cercato di nasconderselo. Allora lo guardò a lungo, prima di riprendere fiato. Guardò con le palpebre semichiuse quella bocca rossa che aveva baciato tante volte e di cui conosceva il sapore perfettamente. Read More

Metafora (6)

Si svegliò di soprassalto nel letto sfatto.
Si passò la mano aperta sulla fronte, e la ritirò umida di sudore; dopo averla guardata la sfregò sul lenzuolo.
Rimase lì nudo, per un lungo istante, con le gambe divaricate, le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi fissi al soffitto.
Sentì arrivare da lontano quell’ansia rotolante che non riusciva a decifrare.
A un certo punto lo vide di nuovo: sempre là, sulla parete di fronte. Read More

Improvvisamente, quasi annunciato

Quando lui aprì gli occhi in quel letto d’ospedale era appena l’alba. La luce del sole, che filtrava dall’unica finestra non oscurata dalla tapparella di metallo e insolita nella forma da sembrare l’oblò di una nave, lo rincuorava di essere chiuso in quella stanza. Gli dava il calore necessario. Intanto un singhiozzo gli era salito in gola e chiuse gli occhi di nuovo. È assurdo tutto questo, si disse. Come assurdo era che lui, nel pieno della sua maturità di uomo inoffensivo – un tipo che parlava al suo cane e che amava lasciarsi afferrare per le braccia dal tempo – si sentisse ormai non più su questa terra. Il cuore aveva preso a battere in modo irregolare, gli era sembrato che la stanza avesse iniziato a roteare, l’aria lo risucchiasse, come impazzita nella sua fredda asetticità. Read More

Metafora (11)

Giacomo aveva da poco finito di scrivere la mail, e già sentiva in cuor suo quel senso di malessere che lo coglieva così all’improvviso salirgli piano dal fondo dello stomaco e strozzarsi là in gola, come un rigurgito improvviso.
Mandò giù un po’ di saliva. Prese il pacchetto di Winston, sfilò con le labbra una sigaretta e l’accese. Il tutto avvenne con una lentezza incredibile. Le pupille erano rosse. Ebbe un gesto improvviso di ripulsa. Read More

Metafora (7)

Un ragazzo sui diciannove anni dall’aspetto underground-skate e molto street si aggira a tarda notte per un quartiere periferico di una qualsiasi città metropolitana, una notte come tante offuscata dalla nebbia.
È snello e muscoloso. I suoi abiti sformati e cascanti sembrano incompatibili con la sua corporatura. Ha il cappuccio della felpa color scuro calato sugli occhi, lo zaino rigonfio a tracolla, e lo sguardo puntato nella notte. Gli occhi lanciano di tanto in tanto occhiate oblique e circospette a seconda dell’espressione, degli effetti della luce e dell’inclinazione del capo. Read More

Metafora (10) – “Mi porti via con te?”

Fede stava come al solito aspettando.
Era mezzanotte e tre quarti. Lo lesse sull’orologio appeso al muro, davanti a sè. A quell’ora era solo nel bar. Si rese conto di questo guardandosi attorno mentre sorseggiava il terzo gin- tonic.
Portava la solita giacca di velluto a coste con i soliti jeans e le solite scarpe da ginnastica, e teneva la solita pall mall accesa tra l’indice e il medio della mano destra.  Read More

Le due finestre della stanza che dava sul retro

Quando entrai per quella porta a vetri erano da poco passate le undici di sera. Fuori la nebbia di fine novembre stava espandendosi nei vicoli della città vecchia; guardandomi attorno sembrava di essere dentro un quadro naif, dove la mano del pittore aveva pennellato ogni cosa di grigio lasciando che qua e là filtrasse solo la luce giallastra dei pochi lampioni rimasti ancora accesi. Read More

Doveva solo amarlo. Sì, amarlo

Quando Moreno uscì da quella porta sentì lo stomaco fargli male. Come se avesse ricevuto un cazzotto. Gli mancò il respiro per un attimo e si piegò in due. Era come se stesso morendo, o almeno questa era la sensazione che provava. Se non avesse ricominciato a respirare entro tre secondi, sarebbe davvero stramazzato al suolo. Ce la mise tutta, Moreno. Emetteva dei sordi rantoli. Poi finalmente iniziò a pigliare aria e a buttarla fuori. Si stava riprendendo. Tutt’a un tratto si toccò il naso. Un rivolo di sangue gli colava sulle labbra.A occhi chiusi provò a ricordare. Niente. Non ricordava proprio niente. Read More